HAVEN – Capitolo 18

Erano passati trenta minuti da quando la chiave di attivazione era stata inserita nel quadro di comando di Haven. Da quel momento, Virgo aveva smesso di comunicare con gli uomini all’interno della stazione, concentrandosi unicamente sulla ricerca di Tarox e sulla strategia da seguire per ottenere la sua eliminazione. Era per lei una necessità riparare Angeal e riavviare i suoi sistemi. Per questo, quando lo scontro tra David e Jack volse al termine, predispose alcuni bot come pedane fluttuanti affinché quest’ultimo potesse utilizzarli per scendere e liberare quindi il campo ad altri automi addetti alle riparazioni.

Arrivato a terra, il ragazzo scrutò con la coda dell’occhio il cadavere del suo avversario. Poi proseguì oltre. Dentro di sè provava un gran dolore. Nonostante ciò, ancora una volta decise di andare avanti. Era così che aveva deciso di vivere la propria vita, e per questo aveva combattuto.

«Non sarò mai come te, amico mio» esclamò.

Riuscì comunque a fare pochi passi prima di cominciare a barcollare a causa delle ferite. La vista gli si annebbiò. Inciampò, ma qualcuno lo afferrò e lo tenne in piedi.

«Forza» gli disse un uomo. «Va tutto bene, Eddy.»

Jack si risvegliò poco dopo, disteso su una branda in una delle stanze della nave. Colui che l’aveva soccorso era accanto a lui.

«Il tuo viso lo conosco» gli disse il ragazzo, «l’ho già visto da qualche parte.»

L’uomo cominciò a ridere: «Certo, basta avere uno specchio. Anche se, ora come ora, vedresti solamente una faccia piena di lividi.»

Poi il suo viso si fece dolce, compassionevole.

«È stata dura» mormorò, carezzandogli il capo. «Sei stato bravo.»

In quel momento, Jack capì.

«…Papà?!» esclamò incredulo, alzandosi di scatto e pentendosene subito dopo a causa del dolore.

I due parlarono a lungo. Si erano salutati molti anni prima, entrambi avevano vissuto avventure ed esperienze straordinarie e ora si erano ritrovati lì, nel luogo da sempre principio e origine dei sogni di ogni pirata.

«Un sogno che Ragh Black non avrebbe mai dovuto realizzare» esclamò Raymond, spiegando di essersi unito ai Junkers con l’unico obiettivo di capire i loro piani, e impedirgli di raggiungere Haven.

«David ha complicato le cose» continuò. «Non credevo fosse diventato quel tipo di persona. Deve aver sofferto molto.»

Jack raccontò al padre di Elena, di Will e della sua ciurma. Di quanto fossero straordinari, di come quei ragazzi scapestrati fossero divenuti la sua famiglia.

«Mi dispiace di non esserci stato quando è morta la mamma» disse a quel punto Raymond.

«Saresti morto anche tu» rispose il figlio. «Casa nostra è stata spazzata via, io sono sopravvissuto per pura fortuna.»

«Forse. E forse era destino. Dopotutto, la ciurma del capitano Warden ha affidato i frammenti a te. Io stesso ho creduto in te fin dal primo momento.»

Jack sospirò, pensieroso.

«Cosa farai, Eddy?» gli chiese suo padre. Ma lui non rispose.

Poco dopo nella stanza entrò Jaime, seguita a ruota dalla ciurma al completo.

«Capitano, menomale! Stai bene!» esclamò la ragazzina, lanciandosi su Jack e – inevitabilmente – aggravando il dolore delle ferite. Subito dopo, la giovane si rivolse a Raymond.

«Signor Jackson, l’ho trovato» disse. «Proprio come mi ha detto lei quando ha fatto prigioniero Nolan.»

«Cosa hai trovato, Jaime?» le chiese Jack.

«L’alimentatore principale della stazione» rispose lei.

Raymond spiegò che una volta inserita, la chiave non poteva essere rimossa senza prima disattivare l’alimentatore posto nella sala motori. Seguendo le sue indicazioni, Jaime l’aveva trovato e disabilitato. Grazie a questa operazione era quindi divenuto possibile fermare Virgo in qualunque momento.

«La domanda ora è: la fermiamo?» domandò Will. «Oppure lasciamo che porti a termine la sua missione?»

I ragazzi si confrontarono. Fu però Nolan a ricordare le parole del vecchio Warden.

«Spetta a Jack» esclamò: «È il capitano che decide la rotta da seguire, dopotutto.»

Eppure, il diretto interessato non pareva avere intenzione di dire la sua. Rimase a riposare ancora un po’, poi si diresse insieme a tutti gli altri presso la sala di controllo.

Fu proprio all’ingresso che i ragazzi incrociarono Chaki. Rob si mise in guardia, ma Jack lo fermò con un cenno. Poi si avvicinò al ragazzino.

«Ti ha ridotto proprio male, eh?» esclamò Chaki.

«Il tuo capitano era il più forte di tutti» rispose lui.

I due si guardarono per un po’, poi Jack gli tese la mano, sforzandosi di sorridere nonostante il gonfiore e i lividi che gli ricoprivano il volto. Ne derivò un’espressione buffa che portò anche Chaki a sorridere.

«Non hai nulla da temere da parte mia» lo rassicurò Jack. «Nè io da te, dico bene?»

Il ragazzino rispose di sì e gli strinse la mano.

«Bene, è il momento» disse Jack al gruppo.

La sala pullulava di cadaveri. Per questo motivo, chiese agli altri di aspettare fuori ed entrò da solo. Avanzò tra i resti dei Junkers, facendo attenzione a non scivolare sul sangue.

Vide il cadavere di Warden, l’uomo che aveva dedicato la propria vita a custodire il sogno.

Vide quello di Black, colui che l’aveva inseguito per ottenere il potere.

Giunto dinanzi alla chiave, ripensò per l’ultima volta a David, che aveva perso la capacità di sognare.

Chiuse gli occhi e rivide il passato. Poi poggiò una mano sul cuore e sentì il presente. Aprì gli occhi e scoprì il suo futuro.

J. Runner

Fine

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HAVEN – Capitolo 17

Jack e David si trovavano sulla testa del gigante di metallo, un ring dal quale uscire significava cadere verso morte certa. I due si scrutavano in silenzio, aspettando l’uno la mossa dell’altro. A un certo punto l’intera Haven si illuminò di un blu intenso, e una voce riecheggiò all’interno dell’hangar.

«Attivazione modalità da battaglia. Esecuzione comando primario: search and destroy.»

Si trattava di Virgo. Il suo tono stavolta non era femminile, bensì atono, meccanico.

«A quanto pare, Black ha messo le mani sulla chiave» esclamò David. «Credo proprio che i tuoi amici siamo morti, Jackie.»

Jack mantenne la calma. Sapeva bene che in quello scontro non poteva permettersi alcuna distrazione.

«Perché ti sei unito a uno come lui?» chiese. «Quello lì è fuori di testa.»

«Lo so bene, ma a lui serviva il mio aiuto per trovarti, e a me invece le informazioni in suo possesso» rispose David. «Non preoccuparti. Non appena Tarox sarà morto, ucciderò lui e tutti i suoi uomini.»

I due ragazzi continuarono a studiarsi per un po’, poi ripresero a battersi. Man mano che lo scontro proseguiva, diveniva più violento. Nessuno dei due si trattenne in alcun modo, unendo le tecniche di arti marziali più raffinate a colpi bassi degni dei peggiori pirati.

«Te li ricordi, Jackie?» esclamò a un tratto David, prendendo fiato: «I pirati che invasero Yellow quel giorno erano in combutta con gli oligarchi, volevano prendersi l’isola. Ma io non glielo permisi, non dopo ciò che avevano fatto a Elena. Te lo ricordi cosa feci, eh?»

«Tu li uccidesti» rispose Jack, affannando. «Li uccidesti tutti, da solo.»

«È da quel giorno che hanno iniziato a chiamarmi demone rosso» continuò David, «ma la verità è che avrei dovuto uccidere te. È a causa della tua debolezza che lei è morta!»

Jack ringhiò e si avventò contro il suo avversario colpendolo in volto con un pugno.

«Lo so!» gridò con rabbia: «Non passa giorno che io non maledica me e la mia dannata debolezza!»

Nella sala di controllo, nel frattempo, Virgo aveva avviato la verifica dei sistemi della nave e in poco tempo sarebbe passata alle procedure di ricerca del Kaiju e all’elaborazione di una strategia di battaglia. Sulla parete della sala erano comparsi grafici e scritte di vario tipo. Di colpo comparve anche l’immagine di David e Jack, intenti ad affrontarsi.

«Presenza umana rilevata. Impossibile avviare sistemi Dag-Mark74» disse l’intelligenza artificiale.

Lo scontro era ripreso da uno dei numerosi bot che, dopo l’inserimento della chiave, avevano riempito l’hangar. Un altro invece ne registrava e trasmetteva i suoni, comprese le voci dei due pirati.

«Cosa credi di ottenere?» esclamò Jack: «Uccidermi non riporterà in vita Elena.»

«No, infatti» rispose David asciugandosi il sangue dalle labbra. «Ma da quando lei non c’è più… la vita e la morte non hanno più alcun senso per me. Riesci a capirlo questo, brutto idiota?»

Si passò una mano tra i capelli, sporcandoli e accendendo ancor di più il loro rosso naturale.

«Vuoi sapere cosa farò, Jackie? Prima ti ucciderò. Poi toccherà a Black e alla sua ciurma di immondizia. Infine mi godrò lo spettacolo di Haven che annienta una volta per tutte Tarox, la bestia che ha distrutto la nostra casa e ucciso le nostre madri.»

I due rimasero qualche istante in silenzio, poi David concluse il suo discorso.

«Quando Virgo non avrà più ordini da eseguire, questa nave risponderà a me. E io la utilizzerò per distruggere le quattro isole ed estinguere ogni forma di vita sulla faccia di questo pianeta devastato.»

Jack rimase basito. Dinanzi a lui c’era un uomo completamente diverso dal ragazzo a cui aveva voluto bene, e con cui aveva condiviso parte della propria vita.

«Quanto dolore ti ho causato, David» mormorò, con occhi lucidi. Poi alzò la guardia e si preparò ad attaccarlo: «È colpa mia, sta a me porre rimedio.»

La conversazione tra i due era stata ascoltata da tutti i presenti nella sala di controllo, ammutoliti. Qualche istante dopo, Chaki si precipitò nel corridoio.

«Dove vai?» gli gridò Colosso, inseguendolo.

«Il capitano!» rispose il ragazzo: «Il capitano ha bisogno d’aiuto!»

Le parole di David avevano scosso profondamente il fragile equilibrio emotivo di Chaki. Preso dalla paura di perdere le poche certezze che gli erano rimaste, tra cui l’amore per il proprio capitano, aveva deciso di correre a dargli una mano. Ciononostante, dentro di sè stentava ad accettare ciò che David si era rivelato essere.

Mentre scendeva con rapidità le scale verso i piani inferiori, Black – ancora nella sala – cominciò a ridere di gusto.

«Quei due mocciosi sono proprio interessanti» esclamò guardando gli schermi: «È un vero peccato doverli ammazzare!»

In quel momento, Schultz notò Dwiz dinanzi al cadavere del capitano Warden, intento a osservarlo. Il sordomuto incrociò le mani in segno di preghiera e si inchinò, mostrando rispetto per il defunto. Poi afferrò lo spadone che portava allacciato alla schiena e cominciò a sciogliere la lama dalle bende rosse che la avvolgevano.

«È ora!» disse improvvisamente, sorprendendo tutti i presenti.

Contemporaneamente, Will e i due fratelli Sawaki stavano risalendo al quinto piano, quando le loro strade incrociarono quelle di Chaki e di Colosso. Fu proprio quest’ultimo che, nel vederli, prese l’iniziativa.

«Voi, maledetti!» esclamò, lanciandosi all’attacco. I ragazzi evitarono i suoi colpi per un pelo. Will e Bonnie indietreggiarono, mentre Rob contrattaccò prontamente con la spada. Gli arti di Colosso però erano ricoperti di metallo, quindi cercò di affondare la lama nel suo petto. Tuttavia, la ferita al braccio causatagli dal proiettile Junker gli impediva di maneggiare la propria arma al meglio.

«Sparisci, moscerino!» gridò il gigantesco pirata, sbalzandolo via. Poi si avventò contro Will e Bonnie.

«Con te avevo un conto in sospeso, donna» esclamò, avventandosi sulla giovane. Quest’ultima si parò davanti a Will nel tentativo di proteggerlo, incrociando le braccia in posizione di difesa. Sapeva bene che prendersi in pieno un pugno da Colosso significava molto probabilmente perdere l’uso delle braccia.

Fu in quel momento che Chaki intervenne.

«Non toccarla!» urlò, affondando i pugnali nella nuca del compagno.

Ferito mortalmente, Colosso non poté far altro che accasciarsi al suolo senza emettere alcun suono.

«C-Cosa ho fatto?!» balbettò Chaki, dopo qualche attimo di esitazione.

Vedere Bonnie, la donna che si era presa cura di lui, rischiare la vita sotto i colpi di Colosso, aveva fatto scattare qualcosa in lui. Aveva reagito d’istinto, facendo l’unica cosa che gli era venuta in mente pur di salvarla.

Tuttavia, la vista del cadavere del compagno gli causò un forte shock.

«Ragazzo, stai bene?» gli chiese Bonnie, avvicinandosi. Lui reagì violentemente.

«Stammi lontana!» gridò, spingendola via e poi scappando. Si rintanò in una delle stanze della nave e iniziò a disperarsi, incapace di accettare la verità e le conseguenze delle proprie scelte.

Dopo essere ritornati sui propri passi, i ragazzi giunsero fuori la sala di controllo, avvolta in un silenzio assordante. Rob vi si affacciò con cautela, per studiare la situazione. E la scena che si ritrovò a osservare lo lasciò a bocca aperta.

L’intera stanza era piena di sangue e cadaveri dei Junkers. Al centro, Dwiz aveva appena affondato la lama dello spadone nella pancia di Ragh Black, e ora lo guardava esalare l’ultimo respiro.

«Tu… maledetto!» furono le parole che pronunciò Black prima di morire.

In un altro angolo della sala invece c’era Nolan, terrorizzato ma incolume.

«Mi spiace che tu abbia dovuto assistere a una scena del genere» gli disse Dwiz.

Immediatamente Rob, Bonnie e Will entrarono nella stanza e si pararono tra il compagno e il misterioso uomo bendato.

«Chi sei?!» esclamò Rob con tono minaccioso.

Dwiz ripose la spada e cominciò a sciogliere le bende sul volto, ormai logore e sporche di sangue. I ragazzi lo videro quindi per ciò che era veramente: un bell’uomo sulla cinquantina, dagli occhi grigi e carichi di speranza.

«Sono Raymond Jackson» si presentò. «Grazie per esservi presi cura di mio figlio.»

Tra lo stupore generale, le immagini dello scontro tra Jack e David continuavano a scorrere sulla parete della sala. I due ragazzi si erano colpiti a vicenda con poderosi attacchi. A un certo punto avevano smesso di schivare, concentrandosi unicamente sull’infliggere all’altro quanti più danni possibili senza più curarsi di quelli che ricevevano. Nonostante fossero stremati, coi volti lividi e il sangue che scorreva a fiotti dalle ferite, nessuno dei due dava l’impressione di voler cedere.

Fu David a portarsi in vantaggio, scaraventando Jack per terra e colpendolo ripetutamente in volto.

«Perché non muori!?» gridò, prima di fermarsi a riprendere fiato per l’ennesima volta. Jack ne approfittò per ribaltare la situazione: gli afferrò il braccio destro e effettuò una presa a chiave.

«Avanti! Spezzalo!» ripeté più volte David, finché Jack non esaudì la sua richiesta facendolo gridare dal dolore. Poi si trascinò via, ed entrambi si rialzarono a fatica.

«Me l’hai portata via!» ruggì David, tenendosi il braccio rotto. «Era bellissima e tu me l’hai portata via!»

Jack rispose gridando ancora più forte.

«Mi dispiace!» disse, asciugandosi le lacrime. «Mi dispiace! Ma lei sarebbe andata avanti» esclamò poi: «Elena guardava sempre in avanti, tenendo per sé solo il buono del mondo!»

Fece una pausa. «Io sono andato avanti, perché tu non riesci a farlo!? Lei avrebbe voluto così!»

David tacque. E mentre anche i suoi occhi iniziavano lentamente a brillare per la tristezza, il suo volto rabbuiò di colpo.

«Per me era lei il buono del mondo.»

Poi alzò la testa, raccolse tutte le energie rimastegli e si lanciò correndo contro il suo avversario.

In quel momento, davanti agli occhi di Jack scivolarono rapidi tutti gli istanti felici passati insieme al suo vecchio amico. Cercò dentro di sé il coraggio necessario, scovò una piccola scintilla. Debole, ma luminosa.

Quando David gli fu abbastanza vicino, lui si spostò di lato e allungò un piede per fargli uno sgambetto, facendolo precipitare giù dal gigante di ferro. Subito dopo, crollò sulle ginocchia e pianse come non aveva mai fatto prima in tutta la sua vita.

J. Runner

E ora, siete pronti per l’ultimo capitolo?
HAVEN, CAPITOLO 18

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HAVEN – Capitolo 16

Bonnie aveva privato Valeri del suo coltello, ma questo non aveva reso la sua avversaria meno ostica. Le due si erano scambiate una serie ripetuta di colpi e ora prendevano fiato studiandosi a vicenda.

«Lo sai, di recente ho incontrato il tuo ex capitano» esclamò Bonnie. «May Hawley, una vera stronza. Ho capito perché hai tentato di scappare.»

«Non di scappare» rispose Valeri. Per un istante, la cicatrice sul suo volto tornò a bruciare come il giorno in cui le era stata inferta. «Ho tentato di ammazzarla.»

Le due cominciarono nuovamente a battersi. Grazie a una finta, Valeri riuscì a recuperare il coltello da terra e si lanciò contro la sua avversaria, scaraventandola al suolo. Bonnie cercò di fermarla con tutte le sue energie, ma Valeri era fisicamente più forte di lei. Pochi istanti, e la lama le sarebbe penetrata nel petto. In quel momento, le tornò in mente una frase che le aveva detto Jack anni prima, durante uno dei loro allenamenti. Bonnie, dopo averlo messo al tappeto, lo aveva accusato di essere debole e lui le aveva risposto che essere forti era importante, ma non era tutto.

«Se la mia forza non basterà, utilizzerò quella dei miei compagni. E ritorcerò quella dei miei nemici contro loro stessi» aveva esclamato quel giorno il suo futuro capitano.

Bonnie allora lasciò che Valeri affondasse la lama senza più opporre resistenza, ma deviandone la traiettoria con una leggera pressione. Si procurò un taglio profondo, ma così facendo ebbe la possibilità di contrattaccare. Con un colpo rapido sul gomito dell’avversaria, puntò la sua stessa lama contro di lei e gliela spinse nel collo.

Valeri si alzò di scatto, provando ad arrestare l’emorragia con una mano. Ci riuscì in parte, mantenendosi abbastanza lucida da appoggiarsi alla parete del corridoio. Poi si accasciò al suolo: era giunta la sua ora. Guardò Bonnie negli occhi, e le sussurrò le sue ultime parole.

«Se rivedi quella puttana, uccidila per me» disse.

«Contaci.»

Poco dopo, Rob raggiunse la sorella. Nonostante lo spadaccino avesse sistemato i due Junkers, le cose erano andate per le lunghe a causa di un proiettile rimbalzatogli nel braccio.

«È una ferita superficiale» spiegò, tranquillizzando la ragazza. «Tu stai bene?»

«Sì» rispose lei, riprendendo fiato. «È stata tosta.»

Nel frattempo, al terzo piano Will se la stava passando piuttosto male. Con una spalla a pezzi, era riuscito a malapena a evitare i continui attacchi di Fisher. Quest’ultimo si era dimostrato un avversario possente, prevedibile nei movimenti ma tuttavia instancabile.

«Il capitano ci ha detto di temere te più di ogni altro» esclamò a un certo punto il gigante, sghignazzando. «Ha detto che sei l’unico in grado di tenergli testa. Ma senza il tuo fucile, sei solo un insulso moscerino.»

Will lanciò un’occhiata alla sua arma, troppo lontana per essere recuperata. Non poté fare altro che indietreggiare e scappar via nel corridoio, che diveniva man mano sempre più labirintico. D’un tratto scorse uno stanzino con un simbolo impresso sulla porta, un disegno che aveva visto solo una volta e tanto tempo prima: un teschio circondato da saette. Vi si nascose, ma Fisher lo vide entrare.

«Sei morto, Weiss» esclamò questi, avvicinandosi con passo lento e ridacchiando. Ma quando mise la mano sulla maniglia metallica della porta, provò un’acuta sensazione di dolore e finì sbalzato via, a terra.

Pochi istanti dopo la porta si aprì e Will apparve sull’uscio. Reggeva nella mano destra un cavo di gomma tranciato che emetteva scintille, collegato dall’altro capo ai sistemi elettrici presenti nella stanza.

«Quand’ero piccolo, il mio padre adottivo mi regalò un giocattolo meccanico» raccontò avvicinandosi. «Per quanti tentativi facessi, non c’era verso di farlo funzionare. Gli mancava energia. Poi, un giorno, papà tornò dal mercato con una batteria elettrica.»

Fisher cominciò a emettere schiuma dalla bocca. Ancora cosciente, si sforzò di afferrare la sua mazza. Will però la calciò via.

«Volevo far funzionare quel giocattolo a tutti i costi, così fui incauto e mi ferii» continuò il ragazzo. «Sofia vegliò su di me per tre giorni e tre notti. Quando mi ripresi, decisi che non avrei mai più fatto scelte imprudenti.»

Fisher cercò di pronunciare qualche parola. Cominciò a dimenarsi, in preda al dolore e alla paura. Will gli aprì la camicia e vide la spessa e pesante placca di metallo che aveva sul petto. I proiettili del suo fucile vi erano ancora incastrati.

«Decisi che non l’avrei più fatta preoccupare in quel modo» esclamò, poggiando il cavo sulla placca e folgorando a morte il suo avversario. «Mai più.»

Mentre Fisher esalava l’ultimo respiro e Will si accasciava esausto di fianco al suo cadavere, dall’altro lato del piano Jack e David lottavano sfruttando tutti gli insegnamenti che Cam aveva loro impartito da giovani. Avevano incassato entrambi molti colpi, ma era Jack a esser messo peggio. Non perché il suo avversario fosse superiore in forza o in tecnica. Bensì, perché David era estremamente intelligente. Scaltro e abile nel combattimento così come nella vita, al punto che persino la sua ciurma lo considerava spaventoso. E proprio per questo lo seguiva e lo rispettava.

«Sei migliorato, Jackie» esclamò il pirata dai capelli rossi. Poi lo colpì in pieno con un calcio: «Ma non abbastanza!»

Jack barcollò, sbattendo contro una vetrata che si frantumò in mille pezzi. La caduta si interruppe dopo un paio di metri, facendolo sbattere contro una parete metallica irregolare. Quando, qualche secondo dopo, il ragazzo si riprese, si rese conto di essere finito nell’hangar, sulla schiena del gigante di metallo Angeal. Iniziò ad arrampicarcisi sopra, mirando alla cima.

«Dove pensi di scappare?!» ruggì David, prima di saltare anche lui su Angeal e cominciare a inseguirlo.

Contemporaneamente, Schultz stava entrando nella sala di controllo insieme al gruppo di Junkers. Con loro c’era anche Nolan, in catene.

«Finalmente!» esclamò soddisfatto Black nel vederli arrivare. Poi il suo anziano sottoposto gli consegnò la chiave.

«Ora Haven è in mio potere!» esclamò il capitano dei Junkers.

«Non farlo!» gridò Nolan d’istinto: «Haven non risponderà ai tuoi comandi! Porterà solo distruzione!»

Nella stanza calò un silenzio assordante. Proprio in quel momento, il dottore notò il cadavere del capitano Warden e deglutì, pentendosi subito di essere intervenuto.

«Credi forse che non lo sappia?» chiese Black, avvicinandosi: «Io so tutto» continuò, con un orrendo sorriso.

«Cosa?» mormorò Nolan, stupefatto.

«Regis Hammond, il reggente di Clocks» spiegò Schultz. «Suo padre Rex faceva parte della ciurma di Warden. Ha raccontato tutto al figlio, e lui lo ha rivelato a noi.»

«Dopo avergli fatto desiderare di essere morto, alla fine l’ho accontentato personalmente» sghignazzò Black. «Era un moccioso viziato, ma tutto sommato ci è stato molto utile. Certo, non avevamo la chiave né sapevamo dove si trovasse Haven…»

«Ma eravamo certi che il tuo capitano avesse cominciato a raccogliere i frammenti» proseguì Schultz. «Grazie all’elettricità di Clocks, abbiamo riattivato i sistemi della USS Kennedy, compresi dei particolari uccelli robotici. Credo in passato fossero noti come “droni spia” o qualcosa del genere.»

«Edward Jackson, sciocco come suo padre. Mi ha condotto dritto dove speravo. E ora, nulla può fermarmi» concluse Black. Poi si avvicinò al quadro di comando di Haven, mentre le sue risate riempivano l’aria tutt’intorno. Senza esitare, inserì la chiave di attivazione.

«Vai Virgo, trova quel demone e uccidilo» ordinò. «Quando avrai finito, allora risponderai ai miei comandi.»

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HAVEN – Capitolo 15

Ragh Black entrò con aria spavalda all’interno della sala di controllo insieme ai propri uomini. Dinanzi a loro, il capitano Warden non mosse un muscolo né mutò espressione, senza celare il proprio disgusto.

«Davvero incredibile» esclamò Black, allargando le braccia: «Il mitico Ardyn Warden, re di tutti i mari, qui su Haven. Dinanzi a me.»

«Ho sentito parlare di te, tempo fa» rispose l’anziano capitano, atono. «Sei l’uomo che ha trovato la portaerei.»

«In carne e ossa» disse Black, ridendo e pavoneggiandosi. «Grazie a essa sono diventato l’uomo più temuto del mondo. Ho il dominio del mare che un tempo ti apparteneva, capitano. E presto mi prenderò anche tutte le isole.»

«Io non ho mai dominato su nulla» ribatté il vecchio, dopo qualche istante di silenzio. «Solo le bestie cercano di prevalere sugli altri con la forza. E tu e la tua ciurma non siete altro che questo.»

In tutta risposta, Black estrasse la sciabola e trafisse Warden da parte a parte, senza pensarci due volte.

«Tu non hai idea di quante volte ho sognato di incontrarti!» ringhiò il Junker. Rigirò la lama: «E… di quante volte ho sognato di ucciderti!»

«Tu non avrai nulla di ciò che desideri» disse il vecchio con voce flebile, morente. «Non sarai mai realmente felice.»

Fu in quel momento che la storia del capitano Ardyn Warden ebbe fine. Tuttavia, l’eco delle sue ultime parole ebbe il potere di inibire la gioia di Black. Dopo pochi attimi di esitazione però, il grasso Junker riprese a ridere, venendo imitato dal resto della sua ciurma di invasati. Poco dopo entrarono nella sala anche David e i suoi pirati.

«Che diavolo, Black!» esclamò il giovane alla vista del cadavere. «Potevamo farci rivelare dove si trova Jackson. Abbiamo bisogno della chiave per attivare Haven.»

«Lo so bene, moccioso» gli rispose Black. «Ma fidati, Ardyn Warden non era così generoso da rivelare informazioni di alcun tipo. Non un uomo come lui.»

Nel tempo trascorso insieme, David aveva imparato a conoscere Ragh Black. Lo considerava fondamentalmente un pazzo, emotivamente instabile. Era forse l’unica persona di cui non riusciva a prevedere le mosse, senza peraltro comprendere i motivi dietro le sue azioni. Eppure, ascoltandolo mentre parlava di Ardyn Warden, riconobbe sul suo volto una profonda, lucida ammirazione per l’uomo a cui aveva appena tolto la vita. Una traccia che svanì poco dopo, schiacciata dalle fragorose risate del Junker.

«Jackson è tuo amico, no?» disse Ragh. «Trovalo. Prendi un paio dei miei uomini, se ti servono.»

David accettò. Lasciò Colosso e Chaki nella sala di controllo, poi insieme al resto della ciurma e a quattro Junkers si avviò alla ricerca di Jack e dei suoi.

Questi ultimi, su indicazione di Will, si erano divisi in tre gruppi da due. Non potevano ancora tornare alla loro nave perché sorvegliata e, se pure vi fossero riusciti, con la Ann Mary pesantemente danneggiata non sarebbero stati in grado di seminare eventuali inseguitori. D’altronde, se si fossero nascosti all’interno della stazione, prima o poi sarebbero stati trovati. L’unica soluzione era quindi sconfiggere i loro avversari. Possibilmente, dopo averli separati l’uno dall’altro.

Haven era dotata di una struttura circolare a cinque piani, come anelli posti l’uno sull’altro. Al centro vi era l’hangar. Jamie e Nolan si erano nascosti in una delle stanze del primo livello. Robbie e Bonnie erano nel quarto, Jack e Will nel terzo.

David e la sua squadra perlustrarono prima il quinto anello, dove si trovava la sala di controllo, dopodichè iniziarono la discesa. Lui e Fisher scesero al terzo, mentre i quattro Junkers guidati da Valeri rimasero al quarto. Contemporaneamente, il resto dei Junkers rimasti sulla USS Kennedy era sbarcato su Haven e si accingeva ad attraversare l’hangar. Alla testa del nutrito gruppo c’erano Dwiz, bendato come sempre da capo a piedi, e l’anziano Schultz.

«Li vedi, fratello?» sussurrò Bonnie.

Robbie fece un cenno col capo: «Lasciamoli passare.»

Valeri e i quattro uomini di Black, armati di fucili automatici, proseguirono a passo lento tra gli angusti corridoi del terzo piano di Haven, l’unico livello a non essere illuminato a dovere a causa di un guasto al sistema energetico.

A un tratto, la donna avvertì una strana sensazione e si voltò di scatto. Alle proprie spalle vide solo tre Junkers.

«Dov’è finito il vostro compagno?»

I tre uomini si guardarono intorno, preoccupati. La costante assunzione di acqua nera li aveva resi piuttosto nervosi. Poco dopo, proseguendo nell’oscurità, anche un secondo Junkers sparì allo stesso modo. Quando se ne accorsero, i due rimasti iniziarono a sparare all’impazzata. Per calmarli, Valeri dovette colpirli.

«State calmi, idioti!» gridò loro, prima di voltarsi e avanzare. In quel momento Bonnie apparve dal nulla e la colpì alle ginocchia, facendola cadere rovinosamente a terra. Poi calciò via il suo fucile e le assestò un pugno al viso, che però la donna riuscì a evitare rotolando via.

«Sei veloce» osservò Bonnie. Rob nel frattempo aveva colto di sorpresa gli altri due uomini e li aveva ingaggiati in uno scontro.

«E voi fin troppo furbi» esclanò Valeri, rialzandosi. Osservando il soffitto, capì che i due fratelli avevano sfruttato il condotto di areazione per coglierli di sorpresa. Era abbastanza largo da poter essere attraversato agevolmente, perfetto per un’imboscata.

Una delle lampade del corridoio si accese di colpo, lampeggiando a intermittenza. Valeri tirò fuori un coltello.

«Ora ti ammazzo, sei pronta?»

«Fatti sotto» rispose Bonnie.

Intanto, al terzo piano, anche Will aveva preparato un agguato. Lui e Jack avevano lasciato segni evidenti del loro passaggio in una delle stanze, ma si erano chiusi dentro quella di fianco e osservavano la situazione attraverso uno spioncino. Al momento opportuno, avrebbero abbattuto la sottile parete col fucile di Will e preso i nemici alla sprovvista.

«Arrivano» bisbigliò Will, udendo dei passi. «Pronto?»

Jack non ebbe il tempo di rispondere. A crollare non fu la parete della stanza di fianco, ma quella alle loro spalle. David aveva capito la loro tattica e ribaltato la situazione. La mazza di Fisher aveva fatto il resto.

«Merda!» esclamò Jack.

Will puntò immediatamente il fucile contro David e fece fuoco, per ben due volte. E per due volte Fisher, frapponendosi tra loro, incassò i entrambi i proiettili in pieno petto. Barcollò alcuni istanti, poi si riprese. Sorrise in maniera inquietante e avanzò verso di Will.

Will ebbe appena il tempo di prendere fiato, stupefatto. Esitò per una frazione di secondo, abbastanza da venir colpito dalla mazza del gigante di colore e finire al suolo con la spalla sinistra gravemente ferita.

«Addio» disse Fisher, pronto a dargli colpo di grazia. Nello stesso momento però Jack lo colpì con un poderoso calcio in petto, facendogli perdere l’equilibrio.

«Una placca di metallo?!» esclamò, massaggiandosi il ginocchio e rendendosi conto del perché i proiettili non avessero avuto alcun effetto su di lui. David non gli diede tempo di pensare ad altro. Lo colpì in volto con un pugno, facendolo finire a terra.

«Ciao Jackie» esclamò.

Dal lato opposto della struttura, i Junkers guidati da Schultz e Dwiz stavano risalendo verso il primo piano. A un certo punto, il sordomuto fermò il gruppo con un cenno e cominciò ad annusare l’aria.

«Cosa c’è che non va, Dwiz?» gli domandò Schultz. Il compagno rispose con un gesto, poi scattò in avanti e scomparve tra i corridoi del primo piano.

«Va bene, ti aspettiamo» disse tra sé e sé l’anziano Junker. Dopo qualche minuto udì distintamente un rumore metallico, seguito da un tonfo. Infine, vide Dwiz tornare e riunirsi al gruppo. Insieme a lui però c’era un’altra persona, un prigioniero.

«Non so come tu faccia, sordo bastardo» esclamò con soddisfazione Schultz, «ma sei un cacciatore nato. E stavolta hai catturato una preda davvero interessante.»

Il vecchio si avvicinò a Nolan, terrorizzato ma con un orgoglio tale da non tradire le sue emozioni. Senza alcuna esitazione, Schultz gli strappò la chiave di Haven dalle mani.

«Bene» disse, «portiamola subito al capitano!»

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HAVEN – Capitolo 14

Ascoltando la storia di Virgo, i ragazzi avevano provato emozioni contrastanti. Ora che il racconto era terminato, e che lo scorrere delle immagini si era fermato, erano frastornati. Nessuno sapeva cosa dire, né come dirlo. Dopo alcuni minuti, fu Jack a rompere il silenzio.

«Capitano, perché lei è qui?» chiese a Warden.

Il vecchio esitò per qualche istante, poi rispose.

«Quando ero bambino ascoltai la storia di un marinaio» disse. «Parlava di un posto meraviglioso pieno di tesori, al di là di ogni immaginazione. E di un potere capace di realizzare qualunque cosa.»

«La leggenda di Haven, il sogno del viaggiatore dei mari» esclamò Jack.

«Esatto» annuì Warden. «Molti sono partiti inseguendo quel sogno, e io stesso vi ho dedicato anima e corpo. Misi insieme la mia ciurma, presi il mare e viaggiai per anni alla ricerca di Haven. Ma quando lo trovai, quando Virgo mi rivelò la verità, ne fui inizialmente distrutto. Poi, capii.»

«Capì cosa?» chiese Will.

«Che la storia che udii quel giorno da quel marinaio era vera» rispose il vecchio. «Haven è un posto meraviglioso pieno di tesori straordinari. E col potere di realizzare qualunque cosa. Un potere troppo grande, troppo pericoloso per un bambino come me. Per chiunque insegua i sogni senza la forza di accettare la realtà.»

Jack tacque. Ci mise poco a rendersi conto di come stavano davvero le cose.

«È rimasto qui a fare la guardia?!» domandò, stupito.

«Io sono un pirata e lo sarò sempre» sospirò il vecchio. «Ebbi la possibilità di scegliere se riattivare o meno Haven. Scelsi la terza opzione: frammentare quella decisione in quattro pezzi, cedendola alla mia ciurma.»

«I frammenti della chiave» esclamò Will.

«Di’, Virgo. Cos’è quella chiave?» chiese l’anziano capitano.

«Chiave di accesso XY-29» rispose l’intelligenza artificiale. «Mi consente di accedere ai controlli primari della stazione Haven, di riavviare i motori, gli armamenti e i sistemi di calcolo tattico. Mi permette inoltre l’accesso alla banca dati e alla memoria strategica.»

«In pratica» osservò Will, «utilizzarla significa rendere la stazione di nuovo operativa.»

Jack rifletté per un po’, dopodichè chiese: «Virgo, cosa faresti se riattivassimo Haven?»

«Eseguirei l’ultimo ordine impartitomi.»

«Che sarebbe?»

«Trovare l’ultimo Kaiju rimasto in vita e procedere al suo totale annientamento.»

«Poco importa se muoiono milioni di persone, dico bene?» esclamò con rabbia Bonnie.

«Il mio protocollo di sicurezza prevede di portare a compimento la missione garantendo la sopravvivenza del genere umano, non dei singoli individui» disse l’intelligenza artificiale. «Solo il livello d’autorizzazione S5 del generale Cluster può modificare o annullare l’ordine.»

«E scommetto che questo generale è morto un secolo e mezzo fa» ipotizzò Will. Virgo gli diede conferma.

Dopo qualche attimo di silenzio, Warden intervenne. Chiese di avere i frammenti e Jack glieli porse. Il vecchio cominciò quindi ad assemblarli.

«Come avrete capito, riattivare o meno Haven è una decisione estremamente difficile da prendere» disse. «Io non ne fui in grado, perciò affidai il compito alla mia ciurma. Sapevo che sarebbe stato molto più semplice per ognuno di loro gestire solamente un singolo pezzo della chiave, una singola parte di scelta.»

L’anziano sospirò ancora, continuando a incastrare e unire fra loro i quattro oggetti.

«Avrebbero tenuto il frammento per loro, nascosto. Forse lo avrebbero distrutto, o forse donato a qualcuno» esclamò, completando la chiave. Poi alzò lo sguardo e fissò Jack negli occhi. «Magari a un uomo in cui riporre fiducia, speranza. Un uomo forte abbastanza da compiere questa scelta.»

Warden diede la chiave Jack e lui la tenne tra le mani. La guardò a lungo senza sapere cosa dire, forse per la prima volta nella sua vita. Ripensò a suo padre e in mente riaffiorarono, sbiaditi, i ricordi della sua infanzia.

Ricordò Hevalon e la sua tranquillità. Il vento che soffiava leggero, il mare calmo e la pace, il silenzio della notte.

Ricordò sua madre. Ricordò che era bella, più di ogni altra cosa avesse mai visto.

«Allora, figlio di Raymond» esclamò Warden, «cosa scegli di fare?»

Fu in quel momento che Virgo avvisò i presenti che all’interno di Haven erano appena entrate altre persone.

«Sono arrivati dall’ingresso sud» disse. «Si dirigono all’hangar.»

«Di chi si tratta?» chiese Will.

«Non riesco a identificarli» rispose Virgo. «Tuttavia, riconosco la loro nave. Si tratta della portaerei CVN-79, la denominazione è Uss John F. Kennedy.»

«Black» esclamò Jack, preoccupato. Poi lui, Will e Rob si precipitarono nel corridoio già percorso in precedenza, riuscendo a scorgerli da una vetrata.

Erano una decina di Junkers, capeggiati da Ragh Black in persona. Ciò che sorprese i ragazzi fu però vedere insieme a quel gruppo anche un’altra ciurma.

«David!» esclamò Jack, con un misto di rabbia e dolore nella voce.

Si trattava proprio del giovane pirata dai capelli rossi. Ad accompagnarlo c’erano Colosso, il massiccio Fisher – armato come sempre della sua mazza ferrata – e infine Valeri, una piratessa Lilian che aveva rinnegato May Hawley e che, per questo, era stata orribilmente sfigurata in volto. Dietro tutti faceva da scorta Chaki, riunitosi al suo capitano.

«Cosa facciamo, Jack?» chiese Rob.

«Non lo so.»

«Se hanno visto la Ann Mary, sanno che siamo qui» disse Will. «Dobbiamo nascondere la chiave.»

Jack era ancora disorientato. Non disse nulla e si limitò a osservare Black e David mentre si avvicinavano al gigantesco Angeal. A un certo punto, Will lo colpì sulla spalla.

«Capitano, sei con noi?» disse, e lui parve risvegliarsi.

«Sì» esclamò. «Muoviamoci.»

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HAVEN – Capitolo 13

«S-Stazione da battaglia?» balbettò Nolan, incredulo quanto i suoi compagni.

All’improvviso, una sottile striscia gialla sulla parete prese a lampeggiare. Virgo stava indicando loro un percorso.

«Se volete seguirmi, vi porterò nella sala di controllo» disse. «Il capitano Warden vi sta aspettando.»

«W-Warden?!»

Stavolta fu Jack a balbettare. Tutto ciò gli appariva incredibile.

I ragazzi decisero di seguire le indicazioni di Virgo. Durante il tragitto, tra lunghi corridoi e ripide scale, si avvicinò a loro un piccolo essere metallico di forma rettangolare. Fluttuava in aria reggendo un paio di lucidi bottoni tra quelle che sembravano due piccole braccia.

Quando lo vide, Rob si preparò ad attaccarlo. Virgo però intervenne.

«Dalle mie scansioni biomedicali, risulta che uno di voi ha i timpani perforati» constatò. «Ho pensato di porvi rimedio. Basterà inserire nelle orecchie i dispositivi auditivi che vi ha portato il mio bot.»

«Intendi questi due bottoncini?» chiese Nolan, prendendoli. Poi li diede a Rob, facendogli segno di inserirli nell’orecchio. Lo spadaccino fece quanto suggerito e, non appena i dispositivi si agganciarono ai suoi nervi, avvertì un forte dolore.

«Rob!» esclamò la sorella, preoccupata. «Stai bene?»

«Si, Bonnie» rispose lui, incredulo. «Io… ci sento. Ci sento di nuovo!»

La ciurma era sbigottita, ma felice.

«È straordinario» esclamò Jack. «Grazie, Virgo!»

«Prego» rispose la voce.

I ragazzi continuarono a seguire le indicazioni luminose di Virgo. Prima di andar via, il piccolo bot fece loro compagnia per un po’ e Nolan ne approfittò per osservarlo, nel tentativo di capire come funzionasse.

La ciurma quindi attraversò alcuni padiglioni fino a ritrovarsi in un corridoio delimitato da un’enorme vetrata, che a sua volta si affacciava su una gigantesca sala. Molti altri bot vi girovagavano entrando e uscendo da alcuni condotti. Fu lì che Jack lo vide per la prima volta.

«Un uomo» esclamò, esitando. «Un gigante di metallo.»

In effetti, quel che vide assomigliava proprio a un gigantesco uomo di metallo, per quanto alcune parti del corpo fossero distrutte. Alcuni bot erano intenti a lavorarci.

«Quello è il Dag-Mark74» disse Virgo. «Un tempo era conosciuto col nome di Angeal

Will le chiese che cosa fosse, ma la voce gli rispose che lo avrebbero scoperto più avanti. I ragazzi proseguirono per alcuni minuti finché non arrivarono a destinazione.

«Benvenuti nella sala di controllo di Haven» esclamò Virgo. Tuttavia, l’attenzione dei ragazzi era rivolta alla figura che sedeva dinanzi a loro. Un uomo anziano, denutrito e con una lunga barba grigia e arruffata.

«Lei è il capitano Warden?» domandò Jack, incredulo. «Ardyn Warden?»

L’uomo parve destarsi dal sonno.

«Raymond, sei tu?» disse. «Sei tornato.»

«Sono Edward, signore» rispose Jack. «Il figlio di Raymond.»

«Il figlio di Raymond» ripeté Warden. «Sei tu allora, colui che compirà la scelta. Hai con te la chiave?»

Jack chiese a Bonnie di recuperare i frammenti dalla sua sacca. Lei glieli porse e lui li mostrò all’anziano.

«Bene» esclamò quest’ultimo. «La mia ciurma si è fidata di te, ragazzo. Allora, che cosa scegli?»

«Temo di non capire, capitano» rispose Jack. «Cosa dovrei scegliere?»

«Come sarebbe a dire?!» replicò Warden stizzito. Provò ad alzarsi, ma non ci riuscì. Tant’era debole che prese a respirare affannosamente per lo sforzo.

«Maledizione! Non mi resta molto tempo ormai. E va bene, Virgo. Mostra loro ciò che mostrasti a me quando giunsi qui.»

«Come desidera, capitano» rispose lei.

D’un tratto, la parete alle spalle del vecchio capitano si illuminò. Su di essa, cominciarono ad apparire delle immagini che descrivevano ciò che Virgo raccontava.

«Accadde circa centocinquant’anni fa. A quel tempo, il pianeta era ricco di terra emersa, sulla quale gli esseri umani avevano prosperato edificando gloriose città. Infine, giunsero loro. Tarox, il demone dei mari. Niiro, l’ombra di fiamme. E il più terribile di tutti: Almagesto, il colosso senza volto.»

Nel vedere il susseguirsi di immagini dei tre esseri, il cuore di Jack sussultò.

«Di demoni come Tarox ce ne sono altri due?» disse, pavido.

«Nessuna delle armi convenzionali degli uomini pareva avere effetto su di loro» continuò Virgo. «Viceversa, ognuno di essi possedeva abilità difficilmente contrastabili. Il corpo di Niiro, per esempio, era ricoperto da uno strato di acido che si infiammava quando l’essere veniva sottoposto a uno stress psicofisico, raggiungendo temperature altissime e proteggendolo da qualunque attacco.»

Nel vedere quel mostro, Nolan impallidì.

«Quello non sarà mica… Trouble?!»

«Esatto» esclamò il capitano Warden. «La quinta isola non è altro che il cadavere di Niiro.»

«Allora quegli esseri si possono uccidere» constatò Will.

«Ci volle un attacco combinato tra i vari paesi del mondo» spiegò Virgo, mentre le immagini scorrevano. «Sette portaerei, settantacinque caccia, ventidue bombardieri stealth, nove sottomarini nucleari. Oltre tremila uomini. Fui io stessa a ideare e coordinare tutta l’operazione. In effetti, sono nata per questo.»

«Tu che cosa sei, Virgo?» chiese Nolan a quel punto.

«È un’intelligenza artificiale» rispose Warden. «Un cervello artefatto creato dall’uomo.»

«Fui progettata come unità strategica avanzata» continuò Virgo. «Il mio scopo era quello di pianificare attacchi contro i Kaiju, calcolando le probabilità di successo e controllando direttamente le unità militari coinvolte.»

«Kaiju? È così che si chiamano quegli esseri?» domandò Jack.

«Kaiju significa “bestia misteriosa”» rispose Virgo. «Nessuno ha mai scoperto che cosa siano quegli esseri. Avrei voluto analizzare il cadavere di Niiro, ma ha continuato a bruciare per anni anche dopo la sua morte. Inoltre, non c’era più molto tempo.»

Sugli schermi comparvero scene di devastazione e morte.

«I due esseri rimanenti stavano causando l’estinzione della razza umana» continuò l’intelligenza artificiale. «Mi resi conto che qualunque strategia era inutile. Serviva concepire un nuovo tipo di arma. Per questo progettai Haven, una stazione da battaglia mobile corazzata, invulnerabile alla maggior parte delle loro abilità e armata con le più moderne risorse militari.»

«In sostanza, ci stai dicendo che Haven è una nave?» chiese Jaime.

«Si» rispose Virgo. «Una nave da combattimento.»

«Ed è questo il motivo per cui ho separato i frammenti della chiave» esclamò il capitano Warden.

«A disattivare Haven fu il dottor Hojo, il mio creatore» spiegò Virgo. «Rimosse la chiave e spense le unità da battaglia poco prima di togliersi la vita.»

«Cosa?» domandò Jack, incredulo. «Perché mai avrebbe fatto una cosa del genere?»

«Perché Virgo ha utilizzato Haven per distruggere il mondo» esclamò ringhiando il capitano Warden. «Lei lo ha trasformato nella desolante distesa d’acqua che è oggi.»

«Era necessario» esclamò Virgo. Le immagini mostrarono quindi un colossale umanoide senza volto che combatteva contro un altrettanto enorme titano di metallo. «Il Dag-Mark74 fu la mia ultima creazione, ma da solo non poteva competere col potere di distorcere lo spazio di Almagesto. Fu così che lanciai una serie di bombardamenti a impulsi elettromagnetici insieme a un massiccio attacco nucleare nella stratosfera. Questo squarciò il campo magnetico terrestre e privò per qualche istante il Kaiju delle sue capacità, creando quindi un’occasione irripetibile che Angeal sfruttò immediatamente. Una strategia perfetta, che tuttavia comportò inevitabilmente l’inversione dei poli magnetici, lo scioglimento dei ghiacci e l’inondazione delle terre emerse.»

Dopo aver ascoltato la verità e visto quelle immagini, i ragazzi non poterono far altro che rimanere in silenzio, sconvolti. A un certo punto, Bonnie cadde a terra in ginocchio.

«Tu hai distrutto il mondo» mormorò.

«Come ho detto, era necessario» rispose Virgo. «Non esisteva altro modo per evitare l’estinzione. In questo modo, la razza umana è sopravvissuta. All’interno di Haven. E tutti voi non siete altro che gli eredi di quei sopravvissuti.»

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HAVEN – Capitolo 12

Dopo giorni di viaggio tranquillo e vento favorevole, Jack e la sua ciurma avvistarono un’enorme massa temporalesca all’orizzonte.

«Ci siamo» esclamò Will. «Quello è il Mare dei Mostri.»

Nessuno sapeva il perché, ma quel tratto di mare era perennemente avvolto da tempeste. Pochissimi erano in grado di navigare in quelle acque, e ancora meno riuscivano a tornare per raccontarlo. Inoltre, mentre sulla superficie imperversavano terribili fortunali, nelle profondità del mare nidificavano indisturbati i mostri del mare. Secondo Nolan, il motivo era da ricercare nel fatto che le nubi oscuravano la luce del sole, rendendo l’acqua buia e fredda, ideale per la proliferazione di quelle creature.

Proseguendo, la ciurma incrociò i resti di un villaggio sul mare.

«Dev’essere Traville» disse Jack, indicandolo.

Del maestoso eppur degradato villaggio non rimaneva molto. Per lo più rottami ed edifici semi inabissati. I ragazzi vi si fermarono per una mezz’ora in cerca di qualcosa che potesse essere loro utile ma, a eccezione di qualche cima, non trovarono molto. Tuttavia, quella sosta fu utile per prepararsi mentalmente alla fase successiva del viaggio.

Infatti, dopo essere entrati nel Mare dei Mostri, la loro situazione non fece che peggiorare di ora in ora. Will mantenne la rotta a fatica. A un certo punto perse completamente il senso della direzione e si preoccupò solamente di affrontare un’onda dopo l’altra evitando che la nave si ribaltasse. Se fosse accaduto, sarebbero stati preda delle creature che seguivano l’imbarcazione, quasi come se la stessero scortando verso una fine inevitabile. Di tanto in tanto alcune di esse impattavano contro lo scafo, facendolo traballare. Quando poi i ragazzi videro a cosa stavano per andar incontro, quasi persero le speranze: fendendo l’oscurità, il bagliore dei fulmini illuminò due gigantesche trombe d’aria e acqua che imperversavano a poca distanza dalla Ann Mary, simili a divinità distruttici.

«È finita» esclamò Rob dinanzi a quello spettacolo.

Nessuno seppe realmente come, ma il mattino seguente la Ann Mary e il suo equipaggio si erano lasciati quel mare alle spalle.

La ciurma era distrutta sia nel corpo che nella mente, la nave aveva perso la randa e le cabine erano quasi del tutto allagate. C’era un buco nello scafo, le loro provviste e la maggior parte degli strumenti di bordo erano andati perduti. Ciononostante, avevano superato il Mare dei Mostri.

Ci vollero due giorni per pompare l’acqua fuori bordo e provvedere alle riparazioni. Sostituirono la randa con una vela di scorta che dovettero ritagliare e adattare. Ripararono alla buona il buco, ma secondo Jaime quella toppa improvvisata non avrebbe resistito per molto.

«Un’altra tempesta, e la nave si spaccherà in due» sentenziò la ragazza.

Comunque, non avevano altre alternative se non quella di proseguire.

Ripartirono, viaggiando a velocità ridotta e fermandosi spesso per riposare e pescare. A un certo punto, cominciarono a sentir freddo e decisero di indossare le tute donate loro da Sora.

«Siamo entrati negli Oceani Oscuri» esclamò Will. «Ci attendono acque desolate, morte.»

«Speriamo solo che la meta sia vicina» rispose Jack guardando la bussola.

Viaggiarono per altri quattro giorni. Il vento era debolissimo, il silenzio assordante. Non v’era traccia di pesci o forme di vita di alcun tipo.

Improvvisamente, Jack avvistò una montagna che sembrava scintillare alla luce del sole. Si domandò che cosa fosse.

«Ghiaccio» esclamò Nolan: «È un enorme pezzo di ghiaccio!»

Fu in quel momento che avvertirono un rumore, un ronzio. Poi, lo videro: uno strano apparecchio simile a un uccello volò sulla loro nave e vi girò attorno un paio di volte, per poi sparire all’orizzonte.

«Sbaglio o quella specie di gabbiano era di metallo?» chiese Rob.

«Dove siamo capitati?» esclamò Jaime.

La bussola indicava ancora una direzione da seguire, così poco dopo la nave ripartì. A causa del freddo e della mancanza di viveri, i tre giorni successivi furono particolarmente duri. Quando accadde, si accorsero a stento che la nave, ormai lenta e traballante, aveva urtato una struttura metallica.

Nel vederla, Jack rimase basito. Si trattava di un’enorme cupola di metallo, grande al punto che quando la ciurma provò a circumnavigarla, quasi non riuscì a vederne la fine.

«Guardate» esclamò Rob a un certo punto, indicando una scala. «Forse lì c’è un ingresso.»

Will e Jaime ancorarono la nave alla struttura e la ciurma sbarcò, arrampicandosi sulla scala di metallo fino ad arrivare su una piattaforma. Lì si imbatterono in una porta stagna con una grossa maniglia circolare. Ci volle tutta la forza di Rob e di Will per aprirla. Una volta entrati all’interno della struttura, la porta si richiuse da sola, sbattendo pesantemente alle loro spalle. E furono al buio.

Jack mosse un passo in avanti e, di colpo, si accesero delle luci gialle. Si trovavano nel mezzo di un lungo corridoio circolare.

«Che posto è mai questo?» esclamò Bonnie.

Subito dopo, delle parole incomprensibili riecheggiarono per tutta la struttura.

«Riconoscimento voce completato» pronunciò poi la stessa voce femminile.

«Chi sei?» chiese timidamente Jack.

«Il mio nome è Virgo, piacere di conoscervi.»

«Il piacere è nostro» rispose il capitano guardandosi intorno. «Ma… dove sei?»

«Ovunque» disse la voce. «Sono colei che controlla questa base.»

I ragazzi tacquero, piuttosto confusi da quanto stava accadendo. Poi, Will interruppe il silenzio.

«Virgo, che cos’è questo posto?»

«Questa è la stazione da battaglia Haven» rispose lei. «Benvenuti.»

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HAVEN – Capitolo 11

Jack e Bonnie diedero fondo a tutte le loro energie per fuggire, affrettandosi tra le palafitte in direzione del molo. Jack sorrideva soddisfatto, Bonnie invece aveva un’aria infastidita.

«Perché sei intervenuto?» chiese. «Avevamo un piano nel caso in cui fossi stata catturata, no?»

«È che m’era venuta voglia di conoscere il capitano delle Lilian» rispose divertito Jack. «E devo ammettere che far saltare in aria quel suo brutto muso è stata un’improvvisata davvero soddisfacente!»

«Ma così come faremo a recuperare la freccia?»

«Come sarebbe? Vuoi dire che non l’hai presa?!»

Nel frattempo May Hawley, ferita e furibonda, si era lanciata all’inseguimento dei due insieme alle sue piratesse. Era riuscita a sputare la granata e ad allontanarsi abbastanza da non riportare gravi ferite. L’arma, forse a causa dell’usura del tempo, si era rivelata meno potente del previsto, pur causando numerosi danni superficiali.

All’interno del Taidon erano rimasti solamente Cohm e i suoi uomini, frastornati ma tutti interi. Will capì che quello era il momento giusto. Mentre Rob si avventava sui cacciatori di pirati, lui si parò davanti a Cohm.

«Salve, padrone» gli disse, estraendo il fucile. «Ti ricordi di me?»

«Tu, maledetto!» esclamò il reggente, tirando fuori dalla cintola una pistola. Will però fu abbastanza veloce da colpirlo in volto col calcio del fucile e disarmarlo.

«Niente scherzi con me, porco schifoso.»

«Altrimenti che farai? Mi ucciderai come hai ucciso il mio socio?»

Will restò per un istante in silenzio, guardandolo negli occhi. «La vendetta non mi ridarà Sofia, questo il mio capitano me l’ha fatto capire chiaramente.»

Gli strappò la freccia dal collo e gli puntò il fucile sui genitali.

«Tuttavia» disse, sorridendo in maniera inquietante, «non ti permetterò di far del male più a nessuno.»

Will fece fuoco. Le urla di Cohm riempirono la stanza fino a che il grasso reggente non perse i sensi per lo shock. Nel frattempo, Rob aveva messo al tappeto i cacciatori. Avevano la freccia, la via era libera.

I due pirati uscirono dall’ingresso principale e si affrettarono a raggiungere i loro compagni.

Intanto, Jack e Bonnie non se la passavano tanto bene. Seminare le feroci piratesse non era affatto semplice. Erano delle ottime tiratrici con l’arco, e a corto raggio erano altrettanto pericolose con coltelli e alabarde. Alcune di loro possedevano persino armi da fuoco, il che rese la loro fuga ancora più difficoltosa.

D’un tratto, i due furono tirati all’interno di un edificio da Sora. La donna li aiutò a scappare attraverso alcune abitazioni.

«Passate attraverso quel bordello abbandonato» disse loro, indicando un edificio. «Seguite il pontile. Se non l’hanno già chiuso, vedrete il molo poco più avanti.»

«Grazie Sora» esclamò Jack.

«Sparisci, moccioso pestifero!» rispose la donna, e lui e Bonnie non se lo fecero ripetere due volte. Sfortunatamente, arrivarono al molo nello stesso momento in cui giunsero le Lilian, che si frapposero fra loro e la Ann Mary. Jack cercò di guadagnare tempo con qualche battuta.

«Ti scuoierò e appenderò la tua testa su una picca» fu la risposta di May Hawley.

Tuttavia, le piratesse non avevano considerato che sulla nave potessero esserci anche altre persone, e questo fece venire un’idea a Jack.

«Jaime!» gridò: «Ti ricordi che bello spettacolo il giorno in cui ci siamo conosciuti?»

Dalla nave non ci fu risposta ma, poco dopo, dal ponte partì un piccolo razzo che volò fin su nel cielo ed esplose, irradiando una luce forte e ricca di colori.

Il diversivo distrasse le Lilian abbastanza da permettere a Bonnie di raggiungere la nave. Non a Jack, che fu afferrato per la maglia da Hawley.

«I tuoi trucchetti non funzionano con me, Jackson!» urlò la donna. In quel preciso istante, sopraggiunse Rob. La sua lama scintillante piombò sul braccio della piratessa come un fulmine, amputandolo di netto. Poi, inseguiti dalle grida della pirata, lo spadaccino e il suo capitano salirono sulla nave.

Will sopraggiunse un attimo dopo. Sparò alla corda che legava la Ann Mary al molo e si aggrappò alla nave facendo perno col piede sul pontile. Così, l’imbarcazione si allontanò abbastanza da essere irraggiungibile dalla terra ferma. Nolan e Jaime uscirono allo scoperto e si affrettarono a issare le vele, mentre le piratesse soccorrevano il loro capitano.

«Fermateli!» gridò la donna. Gli arcieri cominciarono a scagliare le loro frecce, senza però causare danni considerevoli.

Quando i ragazzi raggiunsero il largo, si accorsero che una flotta di circa sette navi era partita dall’isola al loro inseguimento.

«Ciurma, lo so che l’idea non vi piace» esclamò Jack, «ma dobbiamo spegnere le lanterne e renderci invisibili.»

«Non c’è bisogno, capitano» gli disse Jaime. «Quelle bagnarole non raggiungeranno mai questa nave. Fidati di me.»

Jack esitò, ma alla fine decise di fidarsi. Dopotutto, conosceva bene il talento di Jaime nel riconoscere la qualità e le prestazioni delle navi. Quella ragazzina aveva un dono naturale ben più che all’altezza della decennale esperienza dei carpentieri di Talk. E a dimostrazione di ciò, in poco meno di mezza nottata, la Ann Mary seminò tutti gli inseguitori.

«Visto?» esclamò soddisfatta la giovane.

«Sei sempre la migliore, Jaime» le disse il capitano. «Anche il tuo razzo è stato fantastico, ci ha salvato.»

«Bello, eh?» sorrise lei. «Lo sto perfezionando. La prossima volta, esplodendo disegnerà un gigantesco fiore colorato!»

Era stato proprio uno di quei razzi che aveva attirato Jack verso la casa di Jaime, tempo prima. Dopo aver causato il panico tra gli abitanti dell’isola, la giovane era stata circondata e quasi aggredita da alcuni di loro. A tirarla fuori dai guai era stato proprio Jack, che così l’aveva conosciuta. Venuto a sapere del suo straordinario talento, le aveva commissionato una nave senza pensarci due volte. Lei l’aveva realizzata in poco meno di tre settimane insieme a Dom, il suo anziano tutore. Un uomo gentile, un artigiano esperto nonchè un buon maestro.

La Ann Mary era una delle navi più veloci del suo tempo. Attratta dal carisma di Jack, Jaime aveva lavorato giorno e notte con enorme dedizione per realizzarla. Per questo aveva deciso di darle il nome di sua madre, morta quando lei era ancora piccola.

Dopo essersi allontanata da Paradise e aver seminato gli inseguitori, quella nave si apprestava ora a compiere il viaggio più pericoloso che avesse mai affrontato.

«Dobbiamo navigare a nord di Yellow?» domandò Bonnie con stupore. «Nel Mare dei Mostri?»

«Da quelle parti inoltre non c’è Traville, il covo dei Junkers?» chiese Nolan, preoccupato.

«Di Black e dei suoi non dobbiamo preoccuparci» rispose Jack. «Il villaggio galleggiante di Traville è stato smantellato da quando i Junkers hanno preso Clocks. È quella la loro base, ora.»

«Secondo le indicazioni di Sora» spiegò Will «dobbiamo superare il Mare dei Mostri e le tempeste perenni che infuriano in quella zona.»

«Non sarà facile» continuò Jack, «ma una volta oltrepassato quel tratto di mare, ci ritroveremo negli Oceani Oscuri.»

«Black avrà solcato quelle acque molte volte senza mai trovare nulla» obiettò Bonnie.

«Ma lui non aveva questa» esclamò Jack, mostrando all’equipaggio un piccolo oggetto rotondo.

«Ma… quella è una bussola!» esclamò Nolan con entusiasmo: «È funzionante?»

«Secondo Sora, ci indicherà la strada da seguire una volta raggiunti gli Oceani Oscuri» concluse Jack. «Allora, partiamo?»

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HAVEN – Capitolo 10

Il mare era piatto, il tramonto perfetto. Paradise era lontana, a malapena visibile. La Ann Mary ferma sull’acqua, la ciurma radunata sul ponte.

«L’ultimo pezzo della chiave per Haven è al collo di un uomo che arriverà su Paradise domani mattina» spiegò Jack. «Noi glielo ruberemo domani sera.»

«Nel frattempo rimaniamo qui?» chiese Jaime, e il capitano fece cenno di sì col capo.

«Capitano, la signora del Bean…» cominciò col dire Nolan, impacciato. Jack lo interruppe.

«Sì, doc. Sora era un membro della ciurma di Warden» disse. «Loro hanno trovato Haven; ma, prima che me lo chiediate, la risposta è no.»

«Sei sempre il solito» intervenne Bonnie. «Avresti potuto domandarle qualunque cosa, e invece hai scelto di affrontare quest’avventura senza la benchè minima indicazione».

«Veramente» esclamò Will, «le abbiamo chiesto di rivelarci tutto, ma non ha voluto. Non c’è stato modo.»

Per qualche secondo la ciurma rimase in silenzio. Rob, vedendo le loro espressioni deluse, capì e cominciò a ridere fragorosamente.

«Andiamo avanti senza fermarci, ragazzi» disse, e Will gli diede una pacca sulla spalla.

«Lasciate che vi spieghi come stanno le cose» esclamò il capitano. «Stiamo per creare un bel po’ di casino, quindi sarà meglio farlo per bene.»

Il frammento a forma di freccia era stato dato a Sora dal capitano Warden in persona. Tuttavia, quell’oggetto era per lei una reliquia difficile da gestire. Così, aveva deciso di darlo via in uno scambio con un mercante dell’associazione, spacciandolo per un manufatto di poco valore. Sperava che, una volta messo in circolo, sarebbe finito chissà dove e sarebbe stato introvabile per chiunque.

A volte però, le coincidenze della vita permettono il verificarsi di eventi davvero improbabili. Quel mercante, colpito dallo scintillio della freccia e dalle particolari rune incisevi sopra, aveva deciso di farne un pendaglio e l’aveva tenuta per sé. Qualche tempo dopo, lui e il suo socio si erano recati su Yellow e, una sera, la loro strada aveva incrociato quella della giovane e bella figlia di un contadino locale. Gli eventi che ne erano seguiti avevano portato alla morte del socio, alla fuga di uno schiavo e alla presa di potere del mercante.

«Cohm, membro di spicco dell’associazione dei mercanti e attuale reggente di Yellow, è il nostro bersaglio» esclamò Jack.

«Un reggente che lascia la propria isola?» domandò Nolan incredulo.

«Viene qui spesso, a quanto pare» rispose il capitano. «È un uomo molto potente, al punto da tenere sotto scacco l’oligarchia di Yellow. Tuttavia è debole al vizio.»

«In pratica mentre i cani fanno la guardia, il padrone se ne va in giro a fare il maiale» esclamò Bonnie, con espressione disgustata. «E gli abitanti della sua isola non ne sanno nulla.»

«Più o meno è così» disse Jack. «Ora, ecco cosa faremo.»

Il capitano spiegò la strategia che aveva ideato per recuperare la freccia.

A cena i ragazzi definirono i dettagli, poi andarono a letto. Will però non riuscì a prender sonno. Perciò, a un certo punto, decise di alzarsi per prendere una boccata d’aria. Si appoggiò alla battagliola e cominciò a guardare le stelle. Non c’erano nuvole, solo il luccichio degli astri lontani e il candore della luna.

«Guardi sempre il cielo, amico mio» gli disse Jack, raggiungendolo. Nemmeno lui era riuscito a prendere sonno.

«Invece io non posso fare a meno di guardare il mare» continuò, indicando l’oceano. Quella notte le acque erano straordinariamente calme. Limpide e cristalline, riflettevano la luce del cielo notturno come uno specchio. Per un attimo, ai due pirati sembrò che la loro nave fosse sospesa nel firmamento e che potesse solcare la volta celeste da un momento all’altro, svelandone i misteri.

«Che notte fantastica» sospirò Jack.

«Si, lo è proprio» concordò Will.

I due rimasero per un po’ in silenzio a godersi il momento. Jack sapeva che l’idea di rivedere Cohm metteva il suo compagno a disagio, così decise di raccontargli una storia.

«Non ti ho mai parlato» esclamò a un certo punto, «di come l’ho incontrata.»

Will rimase in silenzio ad ascoltarlo.

«Io e David abbiamo sempre desiderato partire e vivere per mare» raccontò il capitano. «La distruzione di Hevalon ci aveva mostrato quanto grande fosse il mondo. Cam Sawaki invece ci aveva insegnato che la volontà rende gli uomini capaci di superare qualunque ostacolo.»

Jack e David erano partiti una notte come quella dal porto di Talk, pronti a vivere avventure di ogni genere.

«I primi due mesi furono straordinariamente difficili» continuò il giovane. «Fortunatamente, David si dimostrò un marinaio eccezionale.»

«Tu sai a malapena nuotare» intervenne Will ridendo.

Jack annuì sorridendo, poi proseguì: «Durante una tempesta, avvistammo una nave in lontananza. Era stata data alle fiamme e pareva non si fosse salvato nessuno. Stavamo per andarcene, quando a un certo punto la vedemmo».

Aggrappata a un barile, esausta, i due avevano scorto una giovane donna di colore. L’avevano salvata e rifocillata.

«Elena» esclamò Will.

«La sua nave era stata attaccata, lei si era salvata per miracolo e aveva perso tutto» disse Jack. «Ma era una donna forte. Persino in un momento del genere riusciva a sorridere, a vedere il lato positivo. A essere ottimista.»

«Doveva essere straordinaria.»

«Io e David ce ne innamorammo. Le chiedemmo di unirsi a noi e lei accettò.»

I tre avevano viaggiato insieme per un po’ e tra loro s’era creato un legame molto forte. Fino a che, un giorno, erano sbarcati su Yellow e lì David aveva preso una decisione.

«Mi disse che l’avrebbe sposata e che avrebbe vissuto una vita tranquilla sull’isola» raccontò Jack. «Che dal primo momento in cui l’aveva vista non aveva desiderato altro.»

«Immagino tu non l’abbia presa molto bene, vero?» chiese Will.

Il compagno annuì e poi rispose: «La verità è che anche io ero innamorato di Elena, ma amavo di più viaggiare per mare. Quando capii che David aveva deciso di rinunciare a tutto per stare con lei, mi resi conto che non aveva più bisogno di cercare la felicità per mare insieme a me. L’aveva trovata in quella persona. E allora non potei far altro che accettarlo.»

Tuttavia, poco dopo era accaduto qualcosa di terribile. Una cospirazione, frutto delle ambizioni di alcuni cacciatori di pirati e parte dell’oligarchia di Yellow, aveva condotto sull’isola una nota banda di pirati. L’obiettivo era creare caos, e approfittarne per tentare un colpo di stato. Così, decine di farabutti si erano riversati nelle strade appiccando incendi, razziando beni e provviste. Un gruppo di loro aveva notato una piccola pensione fuori mano. Dentro c’erano Jack ed Elena.

«Non ne fui in grado» esclamò Jack con occhi lucidi. «Ci provai con tutto me stesso, ma non riuscii a salvarla. E se non fossi arrivato tu, Will, sarei morto anche io.»

I due rimasero per qualche secondo in silenzio.

«Sai, a dire il vero non so proprio cosa mi spinse a intervenire in quel momento» esclamò Will. «Essere uno schiavo mi aveva trasformato nell’ombra di me stesso. Non provavo nulla, non sentivo più niente.»

«Lo facesti perché avevi una disperata voglia di tornare a vivere, e di lasciarti il passato alle spalle» disse Jack mettendogli una mano sulla spalla. «Perché sei una persona buona. Perché sei forte. E l’unica cosa che può fermarti sei tu stesso.»

Will non aveva mai avuto una grande stima di sé e anche quella notte faceva fatica a credere in sé stesso. Ciononostante, aveva deciso di credere nel suo capitano e quelle parole non fecero altro che ricordarglielo.

«Grazie» disse sorridendo, e Jack ricambiò il sorriso. Poi tornò ad ammirare il mare.

«Anche nei momenti peggiori, lei rideva» ricordò. «Era ottimista, guardava sempre al futuro. Per questo, dopo la sua morte, e dopo ciò che fece David, decisi che ti avrei liberato a qualunque costo per portarti con me e proseguire il mio viaggio.»

Il capitano stiracchiò le braccia e si allontanò, dicendo che sarebbe andato a dormire. Prima di entrare in cabina, gli rivolse un ultimo sguardo.

«Sono partito da Talk con un amico. Ci sono ritornato con un fratello» disse. «E poi Bonnie, Robbie, la piccola Jaime e questa bellissima nave che ha costruito per noi. E Nolan. Voi tutti siete divenuti la famiglia che ho sempre desiderato.»

Il mattino seguente, così come da indicazione di Sora, la nave di Cohm sbarcò su Paradise. Insieme a lui c’erano alcuni cacciatori di pirati a fare da scorta. Durante il giorno, il mercante incontrò le Lilian per trattare la compravendita di schiavi. Nel pomeriggio invece, lui e il suo seguito si recarono al Taidon, il locale gestito direttamente dal capitano delle piratesse, la terribile May Hawley.

Durante quella serata nessuno si accorse che tra le cameriere c’era anche Bonnie, infiltratasi grazie a un contatto di Sora. Il suo compito era semplice: aspettare che tutti fossero abbastanza ubriachi da rubare la freccia indisturbata, per poi fuggire passando tra le palafitte insieme a Rob e Will, che l’aspettavano nascosti proprio sotto al locale.

Dopo una lunga attesa però, i due ragazzi decisero di affacciarsi a una delle finestre, preoccupati. Videro la loro compagna incatenata vicino al trono sulla quale sedeva May Hawley.

«Sei stata brava, hai fatto un solo errore» disse quest’ultima. «Per quanto io beva, non mi ubriaco mai.»

«Ma il tuo alito puzza lo stesso come un cadavere putrefatto» le rispose Bonnie, prendendosi in tutta risposta un violento schiaffo.

«Mi divertirò un sacco con te» esclamò soddisfatta Hawley.

Rob fu tentato dall’intervenire, ma Will lo tenne a bada. Oltre a un nutrito gruppo di piratesse, nella stanza c’erano anche Cohm e i suoi cacciatori.

«Non è il momento per colpi di testa» osservò Will. Ma fu proprio in quel momento che la porta del locale si aprì, e Jack fece il suo ingresso.

«Buonasera, signori e signore» esclamò spavaldo. «È qui la festa?»

Immediatamente le piratesse e i cacciatori si alzarono in piedi e lo circondarono, ma prima che potessero mettergli le mani addosso lui tirò fuori dalla tasca una sfera di metallo.

«Piano, piano. Lo sapete cosa è questa?» domandò.

Per un istante, l’intera sala ammutolì e tutti rimasero fermi. Poi Hawley ordinò al personale del locale di andare via.

«Dove l’hai presa quella?» esclamò, osservando Jack palleggiare con quello strano oggetto. Si trattava di un’arma, una granata risalente all’epoca precedente.

«La tenevo da parte proprio in occasione del nostro incontro, May Hawley» rispose il ragazzo. «Devo dire che le leggende sul tuo conto non ti rendono giustizia. Sei veramente brutta.»

«Credi forse che ti lascerò andar via dalla mia isola, pidocchio?!»

«Comincia col liberare la mia compagna.»

Dopo aver esitato abbastanza, Hawley decise di liberare Bonnie dalle catene e la accompagnò personalmente vicino a Jack.

«Te ne farò pentire, Jackson!» disse sputando la donna.

«Non credo proprio» replicò Jack. Poi tolse la sicura alla granata e la spinse in bocca alla piratessa. «Addio!»

Prese Bonnie per mano e uscì di corsa dal locale. Pochi secondi dopo, la granata esplose.

J. Runner

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HAVEN – Capitolo 9

Jack e Chaki erano già agganciati all’aliante quando Nolan avanzò con insistenza le proprie obiezioni. Sapeva bene che il ragazzino era un terribile nemico – e ne aveva di certo paura – ma lo considerava un proprio paziente. Sapere che stava andando incontro a morte certa, dopo che aveva passato gli ultimi giorni a prendersene cura e a tamponare i terribili effetti dell’acqua nera, gli causava non pochi dilemmi morali.

«Poche storie, doc» replicò Jack. «Siamo pirati, l’etica non è il nostro forte.»

In quel momento Will liberò l’aliante. La velocità della nave fece gonfiare rapidamente la vela e quando l’apparecchio raggiunse la quota giusta, Jack sganciò la corda che lo teneva legato all’imbarcazione. Lui e Chaki erano ora in volo verso Caradas.

Jack chiese al ragazzino come si sentisse. Lui non riuscì a rispondere. Era di certo debole per lo stress fisico dovuto ai postumi dell’acqua nera, ma al contempo il suo corpo era inondato da una scarica di adrenalina. In verità, era spaventato a morte dall’altezza vertiginosa.

«Guarda, la prigione è lì» disse Jack indicando la struttura.

Si erano avvicinati molto quando l’aliante cominciò a planare a grande velocità. Chaki cominciò a gridare, Jack a ridere a crepapelle. Erano quasi arrivati al molo situato di fronte l’ingresso di Caradas quando l’aliante riprese quota di colpo, superandolo.

«Allora piccoletto, che cosa hai intenzione di fare?» domandò Jack. «Ti lascio qui o preferisci continuare il tuo viaggio?»

Mentre l’apparecchio compiva una ripida virata, le guardie della prigione cominciarono a puntare le loro armi contro di esso. Un paio di loro fecero fuoco, a vuoto.

«Non abbiamo molto tempo» insisté Jack. «Il mare mi aspetta. È bellissimo, non trovi?»

Chaki posò lo sguardo sul vasto oceano e sullo scintillio dell’acqua che risplendeva della luce del sole. Per un istante, la sua mente provata dai giorni di sofferenza dimenticò tutto il dolore.

«Io voglio vivere!» gridò.

«E sia!» rispose Jack. Poi si diresse verso la Ann Mary e, dopo un non semplice atterraggio, i due si riunirono al resto della ciurma.

«Visto, Nolan?» disse il capitano al dottore, che nel rivederli sulla nave aveva tirato un sospiro di sollievo. «Ai pirati piace essere liberi.»

Da quel momento il viaggio proseguì senza intoppi. Seppur libero di gironzolare per la nave, Chaki non diede mai alcun problema. Rob e Bonnie lo sorvegliarono comunque tutto il tempo, ma lui non diede noie nemmeno quando avvistarono Paradise.

Si trattava di un’isola quasi del tutto pianeggiante; in buona sostanza, una distesa di sabbia e palme, protetta da una serie di secche che fungevano da barriera tra essa e la forza del mare. Nonostante questo, quando c’era burrasca, l’acqua allagava gran parte dell’isola. Per questo non esistevano strade e tutte le abitazioni erano state costruite su delle palafitte ed erano collegate tra loro da solidi pontili.

«È da un po’ che non veniamo qui, eh?» esclamò Will ormeggiando la nave. «Chissà come sta Sora.»

«Ma soprattutto, le ragazze del Bean avranno sentito la mia mancanza?» disse Jack.

Paradise era stata scoperta da un gruppo di donne, le piratesse Lilian, famose per la loro crudeltà, la straordinaria abilità in battaglia e – soprattutto – il possesso di numerose schiave sessuali. In un primo momento, l’isola era divenuta il loro covo. In seguito ad alcuni accordi con mercanti e schiavisti, era stata trasformata in un’enorme città bordello, sede di numerosi locali e osterie dove bere, mangiare e approfittare dei servizi offerti dalle bellissime ragazze del luogo. Chiunque era ben accetto sull’isola, purché rispettasse due regole: pagare sempre il conto senza creare problemi e non infastidire per nessun motivo le piratesse. In caso contrario, i colpevoli avrebbero verificato di persona la leggenda secondo cui esse collezionassero gli organi genitali dei propri nemici e ne facessero collane e ninnoli per le proprie navi.

«Eccoci qua» esclamò Jack dinanzi all’insegna del Bean, il locale gestito da Sora.

«Dobbiamo proprio entrare qui?» chiese timidamente Nolan. In effetti, durante il tragitto sull’isola, non poche ragazze gli avevano lanciato diverse occhiate e baci. In tutta risposta, Nolan era arrossito e aveva rivolto lo sguardo a terra, imbarazzato al punto da provare disagio.

«Tranquillo, ti tengo la mano» gli disse Jaime ridendo. Ma lui la prese sul serio, le strinse la mano e la ringraziò.

All’interno, il locale era colmo di ragazze splendide e seminude. La maggior parte salutò Jack chiamandolo per nome. Alcune di esse lo abbracciarono e gli tastarono il sedere. Lui non oppose particolare resistenza, e anzi ricambiò la cortesia.

Dopo poco fece la sua comparsa Sora, la proprietaria. Nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una donna molto attraente.

«Edward Jackson» esclamò, avvicinandosi a Jack. Lui la salutò con un baciò sulla guancia.

«Il tempo scorre alla rovescia per te, Sora» disse. «Sei splendida.»

«Lo so bene, ma la bellezza non paga i conti» ribatté lei. «E nemmeno tu. A quanto ricordo, mi devi un bel po’. È per questo che sei qui, vero?»

Jack fece un sorriso e le chiese di andare a parlare in un luogo appartato. Sora condusse lui e Will nella sua stanza privata, mentre Nolan, Jaime e Bonnie rimasero nella sala principale in compagnia delle ragazze. Rob invece rimase fuori a guardia di Chaki.

Non appena lui, Sora e Will furono soli, Jack andò subito al sodo.

«Sto cercando Haven» disse. «Benjamin mi ha detto che tu possiedi uno dei frammenti della chiave.»

«Sei uno sconsiderato, ragazzo. Proprio come tuo padre» rispose secca la donna. «Cosa credi che sia Haven?»

«Non ne ho idea, ma è proprio questo il bello.»

«Lady Sora, anche lei era nella ciurma del capitano Warden» disse Will. «Voi l’avete trovato, non è così?»

La donna sospirò e rimase qualche istante in silenzio. Poi rispose: «Sì, lo abbiamo trovato.»

I tre continuarono a conversare ancora per una quindicina di minuti, poi Jack e Will lasciarono la stanza e tornano nella sala principale. A quel punto, si trovarono davanti uno spettacolo interessante: Nolan, chiaramente ubriaco, era steso su uno dei divanetti circondato dalla morsa delle ragazze del Bean. Bonnie era invece vicina al bancone e alternava grossi sorsi d’alcol ad appassionati baci con una giovane e formosa cameriera. Infine, Jaime era stata convinta dalle ballerine del locale a provare i loro provocanti abiti.

«Che bella la nostra ciurma, eh?» esclamò Jack con soddisfazione.

«Se lo dici tu» rispose Will, poco convinto.

Ci mise un po’, ma alla fine il capitano riuscì a radunare tutti e a uscire dal locale. La ciurma consegnò poi Chaki a Sora.

«David verrà su quest’isola, prima o poi» disse Jack al ragazzino. «Nel frattempo lavorerai per la proprietaria del Bean. Ti consiglio di fare il bravo perché, in caso contrario, se non ti ammazza lei lo faranno certamente le Lilian.»

Il giovane tenne il capo basso. Avrebbe seguito quel consiglio.

«Ah, e rifletti su ciò che ti ho detto» aggiunse il capitano. Poi salutò Sora con un bacio, dicendole di metter tutte le spese della ciurma sul suo conto.

«Certo, come no» rispose con ironia la donna.

I ragazzi si diressero quindi verso il centro dell’isola, presso un rigattiere. Jack fece il nome di Sora e chiese di ritirare un certo articolo.

«Tute termiche? E che sarebbero?» chiese Jaime.

«Abiti per tenerci caldi» rispose Will.

«E a che ci servono? Fa sempre caldo in mare» obbiettò la ragazza.

«Non dove stiamo per recarci» sottolineò il navigatore.

Il rigattiere diede loro quelle particolari vesti dicendo che Sora gliele aveva affidate tempo prima e che non sapeva dove la donna le avesse prese.

Nessuno dei membri della ciurma aveva mai visto nulla di simile. Le tute portavano alcune lettere incise sul petto, all’altezza del cuore. In pochissimi erano in grado di capirle, quindi nessuno ci aveva mai fatto caso. Tuttavia Nolan, ancora leggermente brillo, non poté far a meno di leggerle ad alta voce.

«Haven, settore C.»

J. Runner

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